Se chiedessimo ai giovani di oggi a che cartone animato appartengono i personaggi dell’immagine sovrastante molti probabilmente, senza troppe esitazioni, risponderebbero “Cars”. Se avessimo posto invece la stessa domanda a un bambino negli anni Ottanta o ad un appassionato di cartoni animati di Hanna e Barbera ci avrebbe detto quasi sicuramente “Wheelie and the Chopper Bunch”, ovvero Wheelie e la banda di Chopper.
E si, perché l’idea di un cartone animato basato su auto antropomorfe parlanti non risale al 2006, anno del primo capitolo dei film d’animazione per il cinema creato della Pixar e distribuito dalla Disney, ma al 1974, anno di produzione di una serie animata americana in 13 episodi, ciascuno costituito da 3 storie della durata di circa 6 minuti l’una, ad opera di Hanna e Barbera, nota casa di produzione statunitense a cui dobbiamo la trasposizione per il piccolo schermo sia di classici come Braccobaldo o Yoghi, sia di grandi successi come i puffi o Scooby-Doo.
La serie “Wheelie and the Chopper Bunch” andò infatti in onda per la prima volta sulla NBC dal 7 settembre al 30 novembre 1974 il sabato mattina all’interno di uno spazio per ragazzi denominato “Saturday morning cartoons”. Raccontava la storia di Wheelie, una maggiolino Volkswagen rosso, e della sua amata Rota Ree alle prese con un gruppo di bulli, la banda di motociclette di Chopper appunto, che non perdeva occasione per ingannarlo, screditarlo e raggirarlo.
Le storie seguivano un canovaccio abbastanza ripetitivo ma comunque molto divertente e rassicurante per un bambino in età prescolare o scolare. Infatti, la banda dei cattivi inventava ogni volta un nuovo e arzigogolato stratagemma per mettere il bastone tra le ruote a Wheelie. Ma nel piano qualcosa andava puntualmente storto e l’inganno iniziale si ritorceva immancabilmente contro i suoi ideatori. E, come nelle fiabe più classiche, non poteva mancare il lieto fine che vedeva il buon Wheelie rifarsi immancabilmente e guadagnare sempre più punti agli occhi della contesa Rota Ree. In altre parole e in estrema sintesi, i buoni vincevano e i cattivi perdevano. Non vi erano, quindi, grandi o profonde lezioni da imparare se non quella costante che “chi la fa l’aspetti” ovvero chi agisce scorrettamente prima o poi finisce per pagare i propri errori.