Articolo / intervista del Prof. Massimiliano Noseda pubblicato sul numero di settembre 2020 della rivista DIAGNOSI E TERAPIA www.det.it
VACCINO ANTICOVID: LA PAROLA ALL’ESPERTO
Abbiamo chiesto al Prof. Massimiliano Noseda, medico specialista in igiene e medicina preventiva, docente universitario e consulente sanitario per la sicurezza anticovid, di fare il punto della situazione sul vaccino anticoronavirus al fine di meglio comprendere lo stato delle sperimentazioni in corso, le principali problematiche inerenti alla creazione di un vaccino e i possibili benefici, individuali e sociali, ipotizzabili in vista di un suo prossimo utilizzo.
Cosa è un vaccino ?
Si tratta di una strategia preventiva volta a stimolare attivamente il sistema immunitario di un singolo soggetto in modo da indurlo a sviluppare uno stato di resistenza specifica contro un particolare microrganismo. Ciò impedirebbe che l’interessato possa contrarre tale malattia con una ricaduta positiva sia sul sistema sanitario, che non dovrebbe organizzare servizi di terapia né sostenere tali costi, sia sul benessere individuale che sarebbe preservato a priori.
Perchè è importante disporre di un vaccino anticovid ?
Sebbene si siano fatti passi avanti dall’inizio della pandemia nella cura dell’infezione da Sars-Cov-2 grazie all’uso di antivirali, inibitori delle proteasi e anticorpi monoclonali, non esiste ad oggi una cura che si sia dimostrata efficace sempre e comunque. Ciò significa che una quota di individui, prevalentemente anziani con patologie croniche o personale professionalmente esposto, possano ancora oggi contrarre la malattia in forma grave con concreto rischio di morte o di sequele permanenti. Le altre strategie preventive note e attuabili, ovvero l’uso della mascherina, il lavaggio delle mani, la distanza di sicurezza e il ricambio d’aria degli ambienti chiusi, sono infatti in grado di ridurre il rischio di ammalarsi ma non di eliminarlo. Il fatto di non essere riusciti in nessun paese del mondo a raggiungere e mantenere il livello di contagio zero ne è la controprova indiretta.
Quali sono i tempi previsti per la realizzazione di un vaccino ?
Ad inizio pandemia, ovvero nel marzo 2020, l’organizzazione Mondiale della Sanità aveva stimato in 18 mesi il tempo medio prevedibile per disporre di un vaccino sicuro. La sua realizzazione passa attraverso varie fasi che prevedono lo studio in laboratorio del microrganismo da combattere e della letteratura inerente ad epidemie passate determinate della stessa famiglia virale, lo sviluppo in laboratorio di una strategia vaccinale potenzialmente valida, lo studio dei suoi effetti su un numero limitato di animali ed esseri umani volontari sia per ciò che concerne i benefici e la loro durata sia per tipologia e gravità dei possibili effetti collaterali, la produzione del vaccino in grandi quantità e la tempistica necessaria a somministrarla a tutti gli esseri umani. Solitamente la preparazione di un vaccino richiede anni. In questo caso, considerata l’emergenza sanitaria, è possibile ridurre i tempi burocratici ma non quelli tecnici. In altre parole, una commissione etica potrà riunirsi in via telematica in 24 ore per esprimere un giudizio su un protocollo che avrà la priorità su altre sperimentazioni, ma non si possono contrarre i mesi che servono all’osservazione dei soggetti trattati per valutare nel tempo effetti collaterali, capacità immunizzante e durata nel tempo. Volendo fare un paragone, creare un vaccino è un po' come cercare di far sbocciare un fiore: dopo aver fatto alcune scelte tecniche ovvero individuare la tipologia desiderata di pianta, la stagione di semina, la composizione del terriccio, il concime più adatto, l’esposizione al sole e molte altre variabili è necessario attendere i tempi tecnici affinché il fiore sbocci, sperando che da una parte ciò accada e che dall’altra qualcosa di imprevisto, come la grandine o la siccità, non mandi a monte il progetto iniziale.
Quanti sono i vaccini in sperimentazione attualmente nel mondo ?
Circa 200 e il loro numero potrebbe essere destinato ad aumentare ancora.
Non sono un numero eccessivo ?
No in quanto ad oggi non possiamo prevedere l’esito di ciascuna sperimentazione che potrebbe doversi interrompere per esempio perché gli effetti collaterali potrebbero essere importanti o perché l’immunità indotta potrebbe essere di breve durata o ottenibile solo in una quota ridotta di vaccinati. Per esempio in passato studi sperimentali sul vaccino del coronavirus responsabile della SARS erano stati interrotti per motivi di sicurezza. Oltre a ciò non bisogna dimenticare che vaccini diversi potrebbero svolgere funzioni differenti e quindi essere scelti in futuro anche sulla base dell’obiettivo auspicabile o perfino somministrati contemporaneamente. Per esempio alcuni potrebbero proteggerci dall’infezione vera e propria, altri potrebbero, invece, essere più utili per evitare le forme gravi, altri ancora potrebbero essere più efficaci in determinate fasce di popolazione come gli anziani. Ricorderei a tal proposito che per esempio la poliomielite, ormai eradicata nei paesi industrializzati, ha richiesto l’uso di due strategie vaccinali complementari: il Sabin e il Salk. Solo una sperimentazione condotta secondo criteri etici e rigorosi potrà dare una risposta veritiera a tutte le domande sull’immunizzazione attiva contro il coronavirus che oggi ci poniamo.
I vaccini attualmente in sperimentazione contro Sars-Cov-2 utilizzano tutti la stessa strategia ?
Ovviamente no. Tra le principali ricordiamo la tecnologia a Rna messaggero, sulla quale stanno lavorando ricercatori tedeschi e americani, che sfrutta una quantità di materiale genetico contenuto nello spike, ovvero la proteina che Sars-Cov-2 utilizzata dal virus per infettare l’organismo. Questa viene prima incapsulata nel grasso e poi inoculata nel corpo umano nel tentativo di stimolare la risposta anticorpale. Diversa è, invece, la tecnologia a virus inattivato, sulla quale stanno lavorando ricercatori cinesi e brasiliani, già sfruttata in passato con successo nella produzione di vaccini contro l’epatite A, l’influenza e la poliomielite. In questo caso il virus viene inoculato per intero nel corpo umano ma dopo essere stato manipolato in laboratorio al fine di privarlo della sua capacità di replicarsi e danneggiare l’organismo ma lasciando inalterata la sua capacità di indurre la risposta anticorpale. Infine, tra le tecnologie più moderne vi è quella a vettore, detta anche a Rna ricombinante, che sfrutta come cavallo di Troia l’adenovirus dello scimpanzè o un virus benigno del raffreddore umano, entrambi inerti per l’uomo ma in grado di esprimere sul loro esterno la proteina spike o parte di essa al fine di stimolare la produzione anticorpale. Quest’ultima strategia è già stata sfruttata in passato per il vaccino contro Ebola. In tutte e tre le tecnologie illustrate, però, la risposta anticorpale è da considerasi solo il preambolo di una risposta immunitaria che per essere efficace ed immunizzante deve poi essere in grado di attivare positivamente i linfociti T, veri coordinatori dell’immunoprofilassi attiva.
Il vaccino dovrebbe essere attivo su tutti i possibili ceppi di coronavirus o solo su alcuni ?
Premettendo che solo la ricerca e il tempo potranno confermare la risposta a tale domanda, se il vaccino dovesse funzionare dovrebbe essere un panvacciano ovvero essere attivo tutte le possibili varianti di Sars-Covid-19 in quanto lo spike, che i vaccini sfruttano, è una regione al momento non particolarmente variabile del virus. Possibili variabili di efficienza potrebbero dipendere invece da altri elementi come ad esempio l’età del vaccinato, il genere o il suo assetto genetico.
C’è il rischio che il vaccino possa essere destinato solo a poche categorie privilegiate ?
Direi di no, almeno nella nostra realtà. Una volta ottenuto un vaccino, il problema etico nel nostro paese potrebbe essere quello di chi vaccinare per primo. In altre parole qualcuno dovrà stabilire a chi riservare le prime dosi disponibili. Soggetti anziani, pazienti con patologie croniche e individui professionalmente a rischio potrebbero essere i possibili candidati iniziali.
Il vaccino anticovid potrebbe essere obbligatorio ?
In una prima fase lo escluderei. Alcuni effetti collaterali, in particolare quelli rari e rarissimi, sono osservabili solo quando il vaccino è somministrato su ampia scala e quindi obbligare qualcuno a vaccinarsi potrebbe voler dire indirettamente dover rimborsare a posteriori un possibile danno da vaccino. Sarebbe, quindi, poco prudente da parte del legislatore adottare una norma del genere nel caso di una strategia vaccinale che seppur validata con criteri scientifici è di fatto stata preparata in tempi ridotti. Meglio, quindi, fare appello alla responsabilità individuale rendendo pubblici i risultati della ricerca. Ad ogni modo, tutti i vaccini in caso di problematiche possono essere modificati nel tempo e successivamente ottimizzati sulla base anche delle criticità emerse a posteriori.
Cosa è bene consigliare ad oggi alla popolazione oltre ai noti consigli igienico comportamentali come lavaggio delle mani, distanza di sicurezza, mascherina e areazione dei locali ?
La vaccinazione antinfluenzale e quella antipneumococcica a partire dal prossimo ottobre. Infatti, sia l’infezione da virus influenzale sia quella da pneumococco possono esordire con una sintomatologia respiratoria, come tosse, starnuti, mal di gola e catarro, e generale come febbre, artralgie e malessere generale, per poi talvolta aggravarsi con una polmonite. Tali segni e sintomi sono del tutto sovrapponibili a quelli dell’infezione da Sars-Cov-2 la cui diagnosi differenziale è possibile solo grazie al noto tampone nasofaringeo. Pertanto, una protezione a priori contro questi due patogeni, di cui disponiamo da tempo di vaccini efficaci e sicuri, può essere utile sia per evitare inutili allarmismi sia per limitare il prevedibile sovraccarico del sistema sanitario a cui tutti tenderanno a rivolgersi alla comparsa dei primi sintomi durante i prossimi mesi.
Cosa sarebbe auspicabile per il futuro ?
Sarebbe auspicabile a partire dal prossimo anno disporre di un vaccino anticovid somministrabile contemporaneamente a quello antinfuenzale in modo sia di ottimizzare le risorse sanitarie, anche in termini di accesso ai servizi, sia di aumentare la compliance del paziente.
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