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Coronavirus e negazionismo

CORONAVIRUS E NEGAZIONISMO

 

CORONAVIRUS E NEGAZIONISMO: articolo/intervista al Prof. Massimiliano Noseda pubblicato sul numero di dicembre 2020 della rivista DIAGNOSI E TERAPIA

Cos’è il negazionismo ? Quali sono i meccanismi mentali sottesi a tale atteggiamento mentale ? Quali rischi individuali e sociali comporta negare l’esistenza del coronavirus ? Come è preferibile interagire con un negazionista ? Vediamolo insieme.

 

Cosa è il negazionismo ?

Storicamente il vocabolo è stato coniato per caratterizzare una corrente di pensiero che nega l’Olocausto, ovvero il genocidio di cui il nazismo fu responsabile nei confronti della popolazione ebraica durante il secolo scorso. Con tale termine si intende oggi in senso lato il rifiuto a priori di una determinata idea o realtà senza volerla considerare complessivamente ed obiettivamente.  Il concetto si applica, quindi, correttamente anche a coloro che rifiutano verità incontrovertibili come il surriscaldamento generale o l’esistenza del coronavirus.

Essere negazionista o scettico è la stessa cosa ?

No. A differenza del negazionista, lo scettico promuove l’indagine scientifica, l’investigazione critica e l’uso della ragione nell’esaminare affermazioni o realtà controverse. In altre parole non esclude l’esistenza a priori del problema ma al contrario è disponibile al confronto e ad approfondire con metodo e senza preconcetti il suo punto di vista potendolo anche rivedere nel tempo alla luce di nuove evidenze.

Quali argomentazioni adduce il negazionista per giustificare il suo pensiero ?

Come illustra molto bene Mark Hoofnagle, il negazionista impiega tattiche retoriche standardizzate per dare l’impressione di argomentare in modo legittimo il dibattito in palese assenza di qualsiasi plausibilità. Ad esempio fa spesso riferimento alla terapia del complotto secondo cui i suoi oppositori vorrebbero fargli del male o più in generale acquisire dei vantaggi sociali o economici non di rado a suo discapito. Autoelegge a ruolo di esperti, personaggi che tali non sono, e cita studi fantasma, che di fatto non ha mai letto e che spesso provengono da fonti inesistenti o non verificate. Di contro non attribuisce a priori alcun peso a tesi in disaccordo col suo punto di vista ritenendole sempre insoddisfacenti. Infine, tende ad aggregarsi con coloro che condividono il suo pensiero partecipando a manifestazioni o iscrivendosi a gruppi social sul tema che diventano l’unica forma di informazione, o meglio di disinformazione.

Ma cosa succede davvero nel cervello di un negazionista ?

Secondo il neuroscienziato Earl Miller potrebbe accadere qualcosa di simile a ciò che accade nelle demenze. Più precisamente l’informazione proveniente dai sensi viene distorta, integrata, rielaborata e consolidata a proprio vantaggio nell’area del pensiero razionale tanto da indurre il soggetto a credere che la conclusione, a cui si è giunti, sia non solo reale ma anche l’unica possibile. Alla base di questo cortocircuito potrebbero concorrere diversi fattori tra cui un livello socio-culturale basso associato alla mancanza di una cultura scientifica di base che renderebbero impossibile una corretta selezione iniziale delle informazioni tra fondate o infondate, ma anche una diminuzione della capacità di giudizio che sarebbe fortemente inibita dall’attivazione emotiva indotta in parte dalla paura e in parte dall’oggettiva incapacità di gestire uno stimolo potente e complesso che implica un rischio potenziale per la sopravvivenza dell’individuo e della specie umana. In altre parole il negazionismo è una risposta semplice, ma irrazionale e con finalità difensiva, ad una problematica complessa che il soggetto non è di fatto in grado di gestire.

Quindi il negazionista è in buona fede ?

Fatto salvo alcune strumentalizzazioni politiche ed economiche che sono sempre possibili, nella maggior parte dei casi il negazionista “di quartiere” è in assoluta buona fede. Egli usa la negazione della realtà come forma di autotutela al fine di non dover affrontare un evento traumatizzante che lo spaventa e che non è in grado di comprendere, accettare e gestire in modo razionale. Di contro il mondo fittizio che il dinego offre, gli conferisce una sensazione di finta e totale protezione a cui non vuole rinunciare. Condividere, infine, tale idea con altri negazionisti, gli consente di percepire concretamente la realtà di quel mondo irreale che ha costruito e che costituisce un rifugio sicuro.

Il negazionismo è espressione di una patologia ?

No ma è sicuramente una risposta altamente disadattiva alla pandemia. Volendo fare un paragone con il lutto di un compagno o una compagna di vita, costituisce una reazione disadattiva il chiudersi definitivamente in se stesso ritenendo finita anche la propria esistenza rifiutando ogni aspetto di vita sociale mentre è esempio di atteggiamento adattivo positivo quello di iniziare, dopo un periodo comprensibile di sofferenza, una nuova vita, da soli o in condivisione con un’altra persona, coltivando magari nuovi hobbies o interessi al fine di raggiungere un nuovo armonico equilibrio.

In che senso il negazionismo costituisce un rischio non solo per l’individuo stesso ma anche per l’intera comunità in caso di infezione da coronavirus ?

Il fatto di negare l’esistenza del coronavirus e la sua pericolosità lo espone più facilmente all’infezione in quanto è portato a non adottare le comuni strategie di prevenzione nel quotidiano, se non quando socialmente obbligato, in quanto le ritene inutili. Purtroppo, a differenza di altre applicazioni del negazionismo come il credere la terra piatta, tale comportamento non è ininfluente sulla salute della collettività in quanto indirettamente aumenta il rischio di contagio anche delle persone che frequenta per motivi lavorativi, ludici o sportivi. Inoltre, un malato in più rappresenta un aggravio gestionale per il sistema sanitario e in ultima analisi un costo per la società che pagherà tacitamente tutte le spese necessarie alle sue cure.

Chi sono invece i riduzionisti ?

Sono coloro che per non negando il virus ne banalizzano o minimizzano eccessivamente gli effetti non solo sulla salute individuale o collettiva ma anche sull’economia e la società in genere. L’espressione “è una banale influenza” ne è un esempio pratico. Tuttavia, sia il negazionista che il riduzionista non sono dissimili nella loro reazione in quanto, forti delle loro errate convinzioni, all’atto pratico non attuano valide strategie preventive contro il coronavirus. Ciò è dovuto in entrambi i casi ad un’evidente ed errata percezione del rischio a monte del problema.

Come è bene comportarsi con un negazionista ?

Avendo una visione del mondo tanto distorta quanto consolidata, colloquiare con un negazionista costituisce nella maggior parte delle volte una grande perdita di tempo. Risulta, quindi, preferibile evitare e dedicarsi ad attività più gratificanti. Tuttavia, qualora si sia costretti per motivi famigliari, lavorativi o sportivi ad interagire, è bene mettere in chiaro con fermezza, senza eccezioni e fin da subito, il diverso punto di vista chiedendo espressamente di rispettare l’opinione altrui e quindi evitando il tema coronavirus e motivando tale richiesta col disinteresse ad approfondire ulteriormente il discorso. Fondamentale sarà però anche la mancanza di condivisione delle sue teorie da parte di tutti i membri del gruppo in modo che non possa trovare alcuna spalla su cui adagiarsi e quindi obbligandolo di fatto ad una regola collettiva imposta e neutralizzante. A scopo terapeutico, invece, il negazionista, sotto la guida di un psicologo, potrebbe essere messo gradualmente a diretto contatto con tutto quello da cui fugge e in particolare con la sofferenza e la morte, coinvolgendolo ad esempio direttamente in attività di volontariato sul campo, che smonterebbero pezzo per pezzo il suo altissimo castello di carte e promuoverebbero simultaneamente una corretta rielaborazione della realtà.

Come i media dovrebbero gestire i negazionisti ?

Ignorandoli e non parlandone. La noncuranza costituisce, infatti, una iniziale strategia limitante il fenomeno pur non potendo essere di per sé risolutiva. Ogni servizio televisivo, ogni articolo giornalistico e ogni testimonianza diretta costituiscono per i negazionisti una rinnovata occasione di consolidamento delle loro idee e di potenziale crescita del gruppo che è bene disincentivare anche con tale strumento. Al contrario un’informazione chiara e puntuale sull’evoluzione della pandemia, basta su dati scientifici e oggettivi commentati da veri esperti, rappresenta il modo migliore non solo per informare responsabilmente e costantemente la cittadinanza ma anche per motivare gli sforzi richiesti e le limitazioni imposte.

 

 

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